Il feudo e le successioni feudali

Le particolari evoluzioni storico-istituzionali vissute dal regno di Napoli fondato sulla struttura istituzionale del feudo, rendono questo estremamente frammentario a partire dal sec. XV, specie in provincia di Terra d'Otranto, quando, per la dissoluzione delle più vaste unità politico-amministrative rappresentate dal contado di Soleto, dal principato di Taranto e dalla contea di Lecce, in sostanza finisce per coincidere con un piccolo territorio. Il feudo quindi sotto tutti gli aspetti istituzionali, diventa oggetto di qualsiasi tipo di provvedimento.

Il feudo è donato, o concesso, dal sovrano del regno di Napoli se posseduto in demanio dalla Regia Corte, oppure venduto da questa ai diversi feudatari interessati al suo acquisto. Per ottenere il pieno titolo del possesso del feudo, il nuovo feudatario investito riceve dal sovrano il relativo privilegio di regio assenso e l'invito a pagare in favore della Regia Corte del Regno di Napoli le tasse di relevio e dell'adoa infisse sul feudo e stabilite in base al valore dello stesso. Il relevio o laudemio, è un tributo caratteristico medioevale e consiste nella prestazione della metà del reddito dei beni al rinnovarsi dell'investitura feudale. È uno degli elementi che caratterizzano il contratto della concessione feudale, che ha per presupposto giuridico la condizione che i singoli successori non derivano la loro qualità dall'ultimo investito, ma piuttosto dalla legge costitutiva del feudo e quindi dal primo investito. Ne consegue che ogni nuovo possessore deve chiedere l'investitura al signore, prestargli il giuramento e pagare il laudemio. Quest'ultimo, infatti, detto anche relevio, è una prestazione introdotta per consuetudine, e destinata a riaffermare, dapprima simbolicamente, poi come valore intrinseco, il negozio giuridico dell'investitura, come compenso del nuovo vassallo per il fatto di essere accettato (laudare) dal signore e di riottenere (relevare) il feudo, che è ricaduto nelle mani del legittimo titolare. Infine così come il nuovo feudatario presta il proprio giuramento di fedeltà al sovrano comparendo innanzi al regio Commissario generale dell'officio di ligio omaggio ed assicurazione dei vassalli del regno di Napoli, allo stesso modo i vassalli e le rispettive Università compaiono innanzi al detto regio Commissario per riconoscere il nuovo signore feudale:

per legittimo ed indubitato utile padrone di detta Terra ... prestare tutti quelli servizi reali, e personali, e di riconoscerli, e corrisponderli di tutte l'entrade, rendite, ed altre ragioni solite spettanti all'utile dominio di detta terra, il tutto ... secondo le leggi feodali del Regno, la legge dell'investitura e l'acquisto del feodo.

Infine a tutela della popolazione del feudo, al momento dell'accettazione del nuovo feudatario, si rinnova tra questi e la rispettiva Università un contratto con cui il signore feudale s'impegna a rispettare i diritti acquisiti dell'Università e dei suoi cittadini.

Il feudo di Melpignano a differenza della generalità dei feudi della provincia di Terra d'Otranto è posseduto dalla Regia Corte del regno di Napoli "immediate ed in capite", e viene donato dal sovrano del regno di Napoli "sub consueto et debito feudali servitio et adoha" in segno di gratitudine per ricompensare i propri feudatari dei servigi prestati allo stesso.

Il primo signore feudale investito del possesso del feudo di Melpignano, di cui è conservata documentazione, è il barone Raho di Melpignano, che il 24 settembre 1309 riesce a farsi rinnovare dalla badessa del monastero di s. Giovanni evangelista di Lecce, Costanza de Noha, l'affitto del tenimento di Moriano, o Mauriano, sito "prope tenimentum quod dicitur Roca prope tenimentum Paludibus", per un nuovo quinquennio, per il prezzo di 11 once d'oro, 7 tarì e grana 10. Nel possesso del feudo, al suddetto barone succede Isabella e poi il figlio di questa Raho, impegnato il 28 aprile 1336, come abbiamo già visto nella redazione dell'instrumentum concordiae con gli abitanti di Melpignano, per la precisazione dei servizi reali e personali dovuti in qualità di suoi vassalli angari e perangari. Sempre in merito alla stessa vicenda, troviamo il 14 settembre 1348 il barone Pandolfo intento a concedere al vassallo Giovanni, figlio del presbitero Giorgio, alcuni beni tolti a diversi suoi vassalli di Melpignano che si erano ribellati alle vessazioni e soprusi del suddetto barone.

Nel cedolario della provincia di Terra d'Otranto composto tra la fine del 1377 e l'inizio del 1378 troviamo registrato ancora un altro dominus Raho de Melpignano in debito verso il Giustiziere ed erario della provincia di Terra d'Otranto, per conto della Regia Curia, dell'annua tassazione di tre once, quattro tarì e cinque grana, dovuta per il possesso del feudo.

Sul finire del Trecento il feudo melpignanese sarebbe appartenuto ai Lettere e da questi sarebbe passato ai Francone per il matrimonio (1396) tra Antonia Lettere con Andrea Francone. Dai Francone il feudo, intorno alla metà del Quattrocento, sarebbe tornato in potere della Regia Corte e da questa, nel 1463 in riconoscenza dei servizi resi, il re Ferdinando I d'Aragona, presente in Galatina, dona ad Antonio d'Aiello in feudum il casale seu Rus apertum nominato Melpignano in Terra d'Otranto cum baiulatione, banco iustitie in civilibus, "quale Antonio essendo promosso al Arcivescovato de Bari dona detto Casale ad Andrea Francesco d'Aiello suo nipote et detto Andrea Francesco ne ottenne l'investitura". Con la morte di questi, il 28 maggio 1477 su supplica di Nicola Antonio de Ayello de Taranto il suddetto sovrano concede ancora a quest'ultimo il possesso del casale di Melpignano e del casale di Lizzano

in feudum a nobis et nostra Curia immediate et in capite, sub consueto et debito feudali servitio et adoha ... cum hominibus et vassallis, vassallorum redditis iuribus, iurisdictionis, actionibus ... possessionibus, rationibus, pertinentiis et proprietatis aliis ad ea spectantibus et pertinentibus.

Nel possesso dei suddetti feudi succede ancora la famiglia de Ayello, o de Agello: Andrea Francesco, e venuto a mancare questi nel 1490, il proprio figlio primogenito, legittimo e naturale Nicola Antonio de Agello de province Bari. Questi, il 17 dicembre 1490, per mezzo del suo procuratore e congiunto Filippo Carduonis, chiede al sovrano le lettere d'investitura e si offre di pagare alla Regia Corte la relativa tassa di relevio in ducati 187, cioè la metà del valore annuale dei feudi suddetti rimasti vacanti, fissato in ducati 374. Soddisfatta tale obbligazione il re Alfonso II d'Aragona, su sua supplica, riconosce il privilegio d'investitura ai detti feudi, già concesso dal proprio padre Ferdinando al suo avo il 28 maggio 1472 e conferma tale investitura con privilegio del 3 giugno 1494.

Nel 1522 troviamo ancora un Andrea Francesco intento a comprare da Raimondo de Cardona, regio percettore provinciale, il diritto di poter amministrare la giustizia, cioè "la cognizione de prime cause criminali et seconde cause civili, criminali et miste del casale de Melpignano, le quali in allhora havea esercitato li officiali della Regia Audentia Hidruntina" esigendo i proventi in beneficio della Regia Corte.

La famiglia de Ayello la troviamo invischiata nella seconda congiura dei baroni napoletani contro la dominazione spagnola parteggiando per i francesi. Con il fallimento della spedizione francese in Italia (1528-29) comandata dal Lautrec e con la definitiva vittoria delle armi spagnole (1529), Andrea Francesco pur accusato di tradimento non soffre l'onta di vedersi espropriato dei suddetti feudi, come succede invece ai tanti baroni napoletani che hanno parteggiato per i francesi, grazie alla clemenza che pure l'imperatore Carlo V aveva concesso ad alcuni traditori. Nella visita effettuata nel 1531 dal commissario dell'imperatore Carlo V, Troiano Carafa, al quale viene affidato dalla Regia Camera della Sommaria il compito di visitare e valutare i feudi di Terra d'Otranto e di Bari espropriati ai rispettivi feudatari traditori, il feudo di Melpignano si trova soltanto temporaneamente concesso a Teodoro Bisquet, capitano di una compagnia di soldati albanesi. Nella sua relazione il suddetto commissario conta per Melpignano 150 nuclei familiari, la maggior parte greci ed albanesi, il suo territorio è fertile di grano, poco di olio, molto di vigne. Il locale barone, alloggiato in un bel palazzo con un cospicuo giardino, percepisce dalle rendite del feudo 350 ducati annui e lo stesso potrebbe valere 8.000 ducati.

Nel 1540, Nicola Antonio d'Ayello cerca di ottenere l'investitura di detti casali di Melpignano e di Lizzano per morte del padre Andrea Francesco. Ma per la poca sollecitudine dimostrata nell'ottenere tale investitura, "non havendo privilegiato secundo havendo mostrato", si comanda al regio Percettore provinciale che "se pigli la Regia Corte li frutti d'essi", cioè sequestri le rendite del feudo fino all'adempimento degli obblighi feudali.

Arme della famiglia Mosco, feudataria  di Melpignano [1560 -1608].Il 5 luglio 1560, dopo un dominio quasi centenario, termina la presenza della famiglia d'Ayello in Melpignano. Nicola Francesco infatti intanto successo vende il feudo al capitano Alfonso Musco, o Mosco, nobile leccese che aveva militato con onore al servizio dello stesso imperatore Carlo V, dal quale riceve la facoltà di aggiungere al proprio blasone l'aquila imperiale. A questi succede il figlio Angelo Alberto, ed ancora nel maggio 1589, succede Alfonso, figlio primogenito ed erede in feudalibus.

Per il feudo, in generale, e per i suoi connessi aspetti economici, bisogna intanto rilevare che tra la fine del Cinquecento e primo Seicento si registrano per la provincia di Terra d'Otranto il più alto numero di vendite all'asta nel Sacro Regio Consiglio: 30 tra il 1575 ed il 1647. Nello stesso intervallo temporale molti feudi sono oggetto di transazioni ravvicinate la cui rapidità stravolge ciò che ancora restava degli antichi rapporti consuetudinari tra comunità e feudatario già per altro infranti nella fase precedente dalla politica delle reintegre. "Vendere" e "comprare" terra feudale assume una valenza assai diversa rispetto al primo Cinquecento: le vendite non si concludono più, come in quella fase assai spesso accadeva, con un ritorno del feudo alla famiglia che ne deteneva originariamente il possesso; al contrario esse comportano una reale decurtazione dei patrimoni e un processo di ripiegamento della nobiltà provinciale più antica che sembra non riuscire ad adeguarsi ai caratteri speculativi che il mercato del feudo ha assunto con un vertiginoso rigonfiamento dei prezzi tra prima e seconda metà del secolo e con l'inserimento di figure sociali abituate a destreggiarsi in circuiti del denaro più mobili rispetto ai circuiti vischiosi e regolati sovente da meccanismi extraeconomici quali erano quelli delle transazioni feudali nella prima età moderna.

Il 14 maggio 1608 il vicerè Juan-Alfonso Pimentel d'Herrera, conte di Venevente, [1603-1610] concede il suo privilegio di regio assenso alla permuta effettuata tra Alfonso Musco e Ramirez Dellanos, dei baroni di Galugnano, i quali si scambiano reciprocamente "la terra di Melpignano" con "la terra di San Cassiano ed il feudo di Ragustino". Il conseguente esborso di denaro necessario alla suddetta permuta espone il barone Ramirez Dellanos, il quale non riesce a restituire 1250 ducati di capitale, con i relativi interessi maturati dovuti "sopra la baronia de Melpignano, et per esse Ramiro Dellanos barone del detto loco, lo qual comprò il detto Casale da Alfonso Moscho barone del detto loco". Per il pagamento di detto censo ad istanza di Giovanni Gerolamo Paladini di Napoli vengono "spedite lettere esecutoriali per la Corte della regia Bagliva di Lecce, contro Ercolana Lamia, madre e tutrice di Francesco Antonio Sergio, come figlio di Vincenzo Antonio Sergio barone di Vaste", come appare da contratto rogato dal notaio Giovanni Angelo Angrisano di Napoli. Per soddisfare detto credito, il 30 settembre 1608 viene "bandito il detto censo nella piazza pubblica di Lecce - come nelle piazze di Alessano e Melpignano - nel teatro della regia Bagliva di Lecce, et accesa candela dentro una lanterna", si offrono all'asta il detto censo sopra "la terra e intrate baronali di Melpignano". Resta aggiudicatario dell'asta il suddetto Giovanni Gerolamo Paladini. Due anni dopo troviamo intento ad affittare il feudo di Melpignano in favore del negoziante veneziano Bartolomeo Bozzetti, commorante in Lecce, il figlio Giovanni Battista Dellanos. Questi, in quanto è successo al detto feudo per morte del padre, paga nel 1611 per il relevio alla Regia Camera della Sommaria ducati 223.3.19. Per quanto riguarda il dovuto giuramento di fedeltà da parte dei propri vassalli di Melpignano, soltanto l'anno dopo si riesce ad arrivare, superando "tutte le differenze", ad un "accordo, et transazione" con il suddetto barone. Su mandato dell'Amministrazione comunale di Melpignano, il 30 luglio 1612, nel casale di Gagliano, altro feudo dei Dellanos, si costituiscono il sindaco Antonio Rubi, l'avvocato Basilio Mario ed Ottavio Fenestra, in qualità di deputati della suddetta Università, i quali fanno accogliere nel contratto quanto è stato deliberato, in accordo col suddetto barone, nella conclusione del Regimento generale dell'Università del 15 luglio 1612:

In primis ch'il detto signor don Giovanni Battista habbia di fare la detta nostra terra di Melpignano per sua Camera reservata per li molti travagli dateci dalli continui alloggiamenti che aveano havuti sì dalli soldati a' piedi, come a cavallo Baricelli, et altra gente per la quale Camera promettono darli ogn'anno ... ducati centocinquanta noi, et li nostri successori sopra d'una gabella, datio, o exigenza di debitori d'essa università da pagarnosi ogn'anno tertiatim.Et per il detto signor don Giovanni Battista s'habbia d'agratiare tutti li inquisiti de contrabando seu Regia Prammatica li quali havessero pigliato denari o ad altro interesse proprio per servitio di questa Università et di qualsivoglia altre inquisitioni dependentino da cause universali per tutto il tempo passato in sino ad hoggie.
Item ch'il detto signor don Giovanni Battista non habbia da pretendere l'esigenza di portello delle carceri dalli nostri cittadini et habitanti in detta terra solamente se l'habbia d'esigere dalli forastieri.Item ch'il detto signor don Giovanni Battista habbia d'eleggere l'erario et camberlingho ante elettionem officialium Universitatis li quali Camberlingo, et erario habbiano d'essere persone atte et idonee a' simili exercitii. Item ch'il detto signor don Giovanni habbia a' fare a sue proprie dispese le carcere civili fuora il Castello in loco baronale detto le Moline a causa il quondam Ramirez dell'Anos suo padre derogò la carcere civile ch'era d'essa Università et ne fece cortilio, et detta Università cede alla lite mossa per dette carceri derogate, et ad ogn'altra ragione che ci potesse competere.

Grande è l'importanza dell'accoglimento di dette condizioni da parte del feudatario, se i cittadini di Melpignano oltre il suddetto impegno finanziario deliberano "per detti agratiamenti, et camera reservata oltre il detto pagamento di detti annui ducati centocinquanta altri ducati cinquecento de contanti quali se l'habbia esso signor don Giovanni Battista per una vice tantum d'esigere dalli sottoscritti particolari d'essa Università". L'analisi delle richieste evidenzia la necessità di assicurare al paese un certo grado di tranquillità per poter svolgere in piena armonia tutte quelle attività economiche che il suo fiorente mercato e le persone dedite al commercio richiedono. Naturalmente la dinamica economia svolta all'interno del paese spinge i cittadini ed i commercianti presenti a compiere sovente operazioni finanziarie al limite della legalità, come d'altra parte il controllo dell'amministrazione delle carceri civili che spetta di diritto all'Università, e non al feudatario che cerca invece di impadronirsene, è un aspetto essenziale per il rispetto delle prorogative della stessa e della salvaguardia degli introiti connessi a tale diritto.

Il feudo il 24 maggio 1632 viene posto all'asta al migliore offerente dal Sacro Consiglio, ad istanza dei creditori del defunto Ramirez e del figlio Giovanni Battista Dellanos. Come ultimo licitatore, ne viene in possesso per il prezzo di 15.200 ducati, Giorgio Castriota. Questi, molto probabilmente discendente dei Castriota di Parabita, figlio di Giovanni Fabio e di Eleonora Macedonio, ha in moglie Claudia Capece Piscitelli dei baroni di Lucugnano. L'impegno della famiglia Castriota in Melpignano, si concretizza nella splendida realizzazione del palazzo baronale, finito di costruire nel 1636 sulle rovine dell'antico castello. Tale realizzazione si può dire, costituisca la sintesi sia della volontà di realizzazione del suddetto barone ma soprattutto l'espressione delle potenzialità economiche e finanziarie offerte dall'intero feudo. Giorgio Castriota viene a mancare il 22 agosto 1642, il feudo di Melpignano insieme a quello di S. Emiliano passano al figlio Carlo, pure feudatario di Botrugno col titolo di marchese. A questi, morto il 16 agosto 1657, succede il figlio minore Francesco. I beni dei suddetti feudi vengono amministrati, fino al raggiungimento della sua maggiore età, dalla madre Anna Maria Carafa. Il detto barone, sposato con Anna Maria Maremonti, il 28 agosto 1667 è costretto a vendere il feudo di Melpignano, riservandosi quello di Botrugno. Il feudo di Melpignano infine viene venduto per la somma di 22.250 ducati in beneficio del marchese Francesco Acquaviva d'Aragona, "in conto de quali n'ha ricevuti ducati 3000, et l'altri l'ha delegati a suoi creditori restando a' peso d'esso venditore il pagamento dell'adoha (che) si deve per attrasso alla Regia Corte". Della restante somma viene delegato il compratore, il suddetto marchese Francesco Acquaviva d'Aragona, alla soddisfazione dei diversi debiti e pendenze dovute dalla suddetta famiglia Castriota. In particolare:

Ducati mille e cinquecento di capitale (che) si deveno alla signora donna Anna Bandina hodierna Baronessa di Lucugnano alla ragione di sette e mezzo per cento o ad altra persona legittima quante volte detta signora Baronessa non fusse legittima creditrice, dependentino detti ducati mille e cinquecento per quello asserisce detto signor Marchese da donna Vittoria Capece Piscitella olim Contessa d'Ugento...

Ducati novecento di capitale si deveno all'infrascritte reverende donne monache della terra di Cupertino, zie di detto signor marchese, in più e diversi instrumenti videlicet: ducati quattro cento alla raggione del nove per cento alla signora donna Giulia Castriota in virtù d'istrumento rogato per mano di pubblico notaro; ducati quattrocento di capitale si deveno alla raggione del nove per cento alla signora donna Theresia Castriota per instrumento rogato per mano di pubblico notaro; ducati cento di capitale si deveno a donna Adriana Castriota alla raggione del nove per cento dichiarando altri annui carlini venti si deveno a' detta signora Adriana sua vita durante...

Altri ducati sette mila e cinquecento di capitale si deveno, per detto signor marchese, alla signora donna Beatrice Acquaviva Aragona, madre di detto signor don Francesco, cioè ducati cinque mila e cinquecento di capitale alla raggione del sette e mezzo per cento in virtù d'instrumento rogato per mano di notar Donato Maria Gervasi di Lecce a quattordeci febraro 1641, quali ducati cinquemila e cinquecento si deveno a detta signora donna Beatrice Acquaviva come erede universale della quondam signora donna Beatrice de' Falconi, sua ava paterna, accollatisi da detto quondam signor don Carlo Castriota padre di detto signor marchese nella compra che fè del casal di Botrugno dal quondam signor Giovanni Thomaso Maramonte e dal signor don Antonio suo figlio e l'altri ducati due mila di capitale alla ragione del sette e mezzo per cento comprati dalla detta quondam donna Beatrice de' Falconi dal detto signor don Carlo padre di detto signor marchese, in virtù d'istrumento rogato per mano del quondam notaro Francesco Alemanno di Gallipoli a' primo ottobre 1652.

Al suddetto marchese Francesco Acquaviva d'Aragona, morto il 24 dicembre 1679, succede la figlia Beatrice.

Essendo nel 1696 seguita la morte della detta donna Beatrice Acquaviva d'Aragona senza legittimi successori nelli Feudi nuovi [Trepuzzi, Vaste, Melpignano], tra quali era Melpignano, pretese di succederli l'illustre Marchese di Trepuzzi don Geronimo Acquaviva, suo Patruo [zio], fratello che fu di detto don Francesco, e dal [Regio] Fisco si oppose, che non poteva succedere, essendo Melpignano Feudo nuovo nella persona di detto don Francesco, e benchè pervenuto a detta donna Beatrice sua figlia a' questa non poteva succedere il Patruo, perchè non discendeva del lato del primo acquirente, e che quantunque si era detto don Geronimo nell'anno 1699 transatto con il Fisco, detta transazione non ebbe effetto, e restò detto Feudo sotto sequestro, ma poi avendo il quondam signor Imperatore [Carlo VI d'Austria, 1707-1734] con più reali Cedole spedite in Barcellona sotto li 6 novembre 1710, e 12 decembre 1712 ceduto a' detto illustre Marchese don Geronimo tutte le ragioni fiscali in considerazione de' suoi meriti, ordinò si fusse intestato a' suo beneficio detto feudo con la qualità di feudo antico, e tassa vecchia, e precedente relazione formata dal magnifico Razionale in quel tempo del regio Cedolario e decreto lato da questo tribunale a' 21 marzo 1712 furono le Cedole reali registrate nelli regii Quinternioni a' 16 febbraio 1713.

In tal modo, si apre quindi per la famiglia Acquaviva d'Aragona un contenzioso che si trascina per diversi anni contro il regio Fisco in merito alla legittimità nella successione dei feudi posseduti, che si intreccia con la politica familiare adottata per la successione nei feudi stessi. La situazione si ripresenta ancora una volta con la morte, nel 1719, di Gerolamo Acquaviva, morto senza legittimi successori. Grave è il pericolo di perdere il feudo di Melpignano per devoluzione in favore della Regia Corte, anche per i contrasti sorti in seno ai diversi rami della famiglia Acquaviva d'Aragona, tra l'erede designato Giuseppe Acquaviva d'Aragona, figlio secondogenito del conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva, il marchese di Taviano Lorenzo de' Franchis suo pronipote, e il principe di Valenzano Lanfranco Fuerietti, figlio della principessa di Valenzano Caterina Acquaviva d'Aragona. Finalmente il feudo di Melpignano viene concesso a Giuseppe Acquaviva, figlio secondogenito di Giulio Antonio conte di Conversano, in base a consulta del Tribunale della Regia Camera della Sommaria, con real privilegio del suddetto imperatore Carlo VI spedito da Vienna il 14 aprile 1728, e reso esecutivo nel Regno il 12 marzo 1729.

Intanto vengono a maturazione i diversi impegni finanziari che la famiglia Acquaviva d'Aragona, nei suoi diversi rami, aveva assunto in precedenza per poter assicurarsi l'investitura dei feudi di Trepuzzi, Vaste e Melpignano. Fatti che costringono la detta famiglia a ridimensionare il proprio ruolo nell'ambito della nobiltà salentina. I marchesi di Trepuzzi, Gerolamo e Ferdinando Acquaviva infatti, già costretti ad esporsi per la somma di ducati 20.000 nei confronti di Francesco Antonio de Luca di Molfetta, non riescono ad assolvere a tale impegno assunto in precedenza.

Il feudo di Melpignano viene ceduto quindi da Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona, conte di Conversano, come padre e legittimo amministratore dei beni del proprio figlio Giuseppe, marchese di Trepuzzi, ai quattro fratelli de Luca, figli del suddetto creditore Francesco Antonio "con tutti suoi beni burgensatici, feudali e giurisdizionali giusta lo strumento stipulato a' 13 settembre 1746 per mano di notar Domenico di Eustachio di Napoli", quale transazione al suddetto debito. Con lo stesso atto i suddetti fratelli, "abate don Nicola, abate don Amodeo, e sacerdote don Marcello de Luca", rispettivamente "fratelli primo, terzo e quartogenito", "per l'amore, e grande affetto", cedono e donano il suddetto feudo di Melpignano al fratello secondogenito Saverio, "per le sue rare, ed ottime qualità, ed acciò possa contraere con degno matrimonio", ma anche perché il feudo di Melpignano è jure francorum, cioè è da intestare ad uno soltanto degli eredi, e non jure longobardorum con il feudo suscettibile invece di essere diviso tra i diversi eredi. La detta cessione viene convalidata con regio assenso del 16 ottobre 1753, ma problemi sorgono al momento della registrazione del feudo in testa al detto Saverio de Luca. Una volta risolti, il detto nuovo feudatario può finalmente rendere il tradizionale ligio omaggio e giuramento di fedeltà all'autorità sovrana innanzi al regio Commissario generale dell'ufficio di ligio omaggio ed assecurazione dei vassalli, Antonio Massamorbile. Allo stesso modo, comparendo innanzi al detto regio Commissario, anche i cittadini di Melpignano promettono di

riconoscere e confessare il signor don Saverio de Luca per legittimo, ed indubitato utile Padrone di detta terra, ed essere fedeli vassalli del medesimo, e suoi eredi, e successori e fare a' medesimi ogni terrestre onore, e fare, o prestare alli stessi, tutti quelli servizi reali, e personali, e di riconoscerli, e corrisponderli di tutte l'entrade, rendite, ed altre ragioni solite spettanti all'utile dominio di detta terra, il tutto però secondo le leggi feodali del Regno, la legge dell'investitura e l'acquisto del Feodo, e non altrimente, nè d'altromodo. E finalmente fare, et eseguire tutte l'altre cose, che li buoni fedeli, e leali vassalli sono tenuti, e devono fare, il tutto secondo il costume in simili atti di giuramento, giusta l'uso e consuetudine del Regno.

Al detto barone Saverio, sposato con Giovanna Bozzi Corso Colonna e passato il 27 agosto 1782, all'età circa di ottant'anni, a miglior vita, succede il figlio primogenito Francesco Antonio. Questi, impegnato in numerose cause innanzi ai tribunali del Regno contro i cittadini di Melpignano che, sull'onda degli straordinari eventi generati in tutta Europa dalla rivoluzione francese cercano in ogni modo di affrancarsi dai secolari obblighi feudali, quasi in sintonia con i tempi che avrebbero portato in quello scorcio di secolo con il crollo del feudalesimo alla fine dell'antico regime, abbandona l'amministrazione del feudo e perfino le cure della moglie Erminia Lentini e della sua famiglia per rifugiarsi e vivere a Napoli, dove muore nel 1870.